La tua è una carriera intensa e ricca di soddisfazioni professionali, nella quale si evince una preponderanza di concerti all’estero rispetto ai tour in “casa propria”, in Italia (in particolare negli Stati Uniti, dove hai riscosso un buon successo e ove hai avuto modo di registrare il recente “Live In Usa” assieme al tuo quartetto). Una scelta personale la tua o dettata da esigenze, chiamiamole così, “di mercato”?
I concerti tenuti all’estero non sono frutto di una scelta personale, ma solamente le occasioni della vita che mi hanno portato negli Stati Uniti, in Russia, in Germania, in Danimarca, in Ungheria, in Spagna ecc…
Opportunità nate dalla casualità, stranieri che mi hanno sentito suonare in Italia e che poi mi hanno portato nelle loro terre di origine. Nessuno di queste persone era organizzatore di eventi o manager musicale, ma semplicemente amanti della musica jazz e dell’arte che mossi dall’entusiasmo e dalle emozioni di un concerto mi hanno proposto nelle loro città, dove poi sono stato nuovamente riconfermato per altri concerti.
E’ così che ho suonato a Mosca, Berlino, Dresda, Lipsia, Copenaghen, Demoines, Vienna ecc…
In Germania, per esempio, ritorno con Luca Donini Quartet a marzo 2012 per il quinto anno e con molta probabilità in estate ritorno ancora negli Stati Uniti.
Sapere di trasmettere emozioni tanto da portare persone non del settore a fare questo per noi, è una sensazione bellissima.
Quali differenze evinci tra il jazz americano e quello italiano?
Tutti sanno che il jazz americano ha fatto la storia e sono americani i grandi maestri di questa musica, anche se oggi il jazz appartiene alla civiltà mondiale.
In America il jazz si respira, e nel jazz americano traspare molto la tradizione e il senso nativo di questa musica.
Nel jazz italiano, invece, si evince maggiormente la nostra vena latina che evidenzia quell’energia e quell’aspetto espansivo e passionale tipicamente italiani.
Premesso questo, credo che mai come oggi il jazz italiano vanti di validi musicisti con un’originalità di tutto rispetto e con un’identità che prima non c’era. Attualmente in Italia ci sono bravissimi jazzisti, riconosciuti e stimati anche in America e nel mondo.
Nelle composizioni di “Live In Usa” emerge un importante lavoro d’insieme incentrato sulle possibilità armoniche e sui risultati che le stesse possono imprimere nel linguaggio emotivo, del pathos profondo. Come si è sviluppata l’attività compositiva e che ruolo avete affidato all’interplay?
Nel Luca Donini 4et ogni composizione viene presentata e suonata con lo spirito voluto dal compositore, poi durante i live ci sono alcuni momenti in cui del tema e della struttura armonica iniziale rimane solo l’essenza.
Il tutto viene de-materializzato e riproposto in modo diverso dettato dallo stato d’animo del momento.
Questo è possibile grazie ad un interplay consolidato da anni, una sinergia che permette a tutti i componenti del gruppo di intuire, evolvere, interagire e sviluppare con gli input che lancio continuamente, creando così un insieme di energie guidate che dialogano.
E’ così che trasmettiamo emozioni e momenti unici dove ci mettiamo a nudo e dove senza compromessi diamo e rischiamo tutto.
Esiste oggi, secondo te, un linguaggio comune nel jazz internazionale, a cui tutti gli strumentisti si riferiscono per le loro scelte compositive?
Credo che oggi nel linguaggio del jazz internazionale sia comune la ricerca di una sempre più ampia libertà di espressione senza restrizioni e barriere.
Oggi è più facile dar voce al linguaggio espressivo sperimentale, infatti l’approccio al materiale sonoro, sia compositivo che esecutivo o improvvisato, è tra i più svariati.
Mai come adesso nel jazz contemporaneo internazionale si assiste ad una commistione di generi, dove si mescola classica a jazz, tecnologie a strumenti tradizionali, suoni sintetici o analogici a suoni acustici, strumenti etnici a classici, si fa musica con materiali tra i più disparati, e oltre alle forme tradizionali del jazz classico prevale molto l’improvvisazione totale.
L’albero del jazz ha quindi sviluppato nel tempo le sue più svariate ramificazioni .
Per fortuna, le barriere e le chiusure, che nel passato hanno portato dure critiche a musicisti creativi che cercavano il nuovo, si sono rotte… ma del resto il nuovo, all’inizio, è sempre fortemente criticato e la storia dell’arte ce lo insegna.
Un pensiero sul jazz italiano e sulle “nuove leve”, con le quali sei a stretto contatto data la tua intensa attività di docente.
I miei 15 anni di insegnamento nei Conservatori di musica Italiani, da Como a Cosenza, Matera, Bari,..ecc fino alla mia attuale titolarità di cattedra presso il conservatorio di Adria (Ro) e Verona , mi hanno confermato che l’Italia è una fucina di molti giovani di talento che si stanno formando e stanno proliferando nel territorio italiano.
Purtroppo mi rattrista il fatto che abbiano poche possibilità di esibirsi, in Italia ci sono pochi spazi per i loro concerti anche a causa dei tagli alla cultura che creano difficoltà a molti festival, teatri, ed eventi culturali che permetterebbero loro di accrescere la propria attività formativa-concertistica.
Nonostante il periodo impegnativo che l’Italia sta attraversando, soprattutto a livello culturale, i ragazzi studiano e hanno una forte volontà di crescita e sete di sapere che permette loro di muovere energia e farsi spazio…
l’Italiano ha nel dna l’arte, è un artigiano con un grande cuore e una forte sensibilità… la nostra storia e i nostri grandi artisti del passato ne sono l’esempio e lo saranno anche i giovani musicisti del futuro.